Cose che non voglio sapere by Deborah Levy

Cose che non voglio sapere by Deborah Levy

autore:Deborah Levy [Levy, Deborah]
La lingua: ita
Format: epub
editore: NN Editore
pubblicato: 2024-02-08T23:00:00+00:00


tre

Puro egoismo

Nel Regno Unito, i greasy spoons, letteralmente “cucchiai unti”, sono delle bettole chiamate anche “bar degli operai” e nel sud soltanto “bar”. Servono principalmente cibi fritti o grigliati, come uova, bacon, black pudding, un sanguinaccio nero, salsicce, bubble and squeak, un pasticcio di patate e cavoli, patatine fritte e funghi, il tutto con contorno di fagioli bianchi in salsa di pomodoro.

Wikipedia

inghilterra, 1974

A quindici anni portavo un cappello di paglia nero con dei forellini quadrati sulla tesa e scrivevo sui tovaglioli di carta nel bar degli operai vicino alla stazione degli autobus. Mi ero fatta l’idea che gli scrittori dovessero comportarsi così perché avevo letto libri di poeti e filosofi che, seduti per ore nei caffè francesi a bere espresso, descrivevano in dettaglio la loro esistenza infelice. All’epoca non c’erano molti caffè del genere nel Regno Unito e tantomeno a West Finchley. Nel 1974 i minatori erano in sciopero, il governo conservatore aveva ridotto la settimana lavorativa a tre giorni per risparmiare elettricità, la Cina aveva regalato al popolo britannico due panda bianchi e neri (Ching-Ching e Chia-Chia) e io macchinavo la mia fuga del sabato mattina al bar degli operai con la stessa meticolosità di un colpo in banca. Ma i miei piani rischiarono di andare a monte per colpa di uno sciame di api suicide. Un vasetto di miele – ovviamente senza coperchio, perché a casa nostra non c’era mai niente che avesse un coperchio – aveva violato ogni legge di gravità cadendo dal suo posto sulla mensola dentro la lavatrice. Non solo il cestello di acciaio inossidabile ora grondava miele, ma pullulava anche di api euforiche e satolle che dal loro alveare fuori dalla finestra erano accorse a banchettare nella lavatrice.

Ora, il mio compito supplementare in famiglia (tutti avevamo un mestiere da svolgere il sabato) era quello di raschiare le api e il miele dal cestello con un cucchiaino e poi smaltire i cadaveri. Mentre ero a quattro zampe davanti alla lavatrice, con la testa nell’oblò, mi venne in mente che era proprio così che si suicidavano le poetesse, solo che infilavano la testa nel forno a gas. C’era qualcosa di umiliante e rassicurante insieme nell’inginocchiarsi per rimuovere le api, ma non riuscivo a trovare l’energia per capirne il motivo, perché soffrivo troppo. Diversamente da me, infatti, prima di morire, almeno cinque api avevano raccolto abbastanza energie per pungermi la mano, ma nessuno in famiglia era granché impressionato. Mia madre disse: «Eh sì, le api pungono» e mi consigliò di mettere la mano sotto l’acqua fredda. Dopo un attimo aggiunse: «In Russia spalmano il loro veleno sulle articolazioni artritiche». A un certo punto cercai di corrompere mio fratello Sam perché facesse il lavoro al posto mio, ma era troppo impegnato a farsi il ciuffo a banana. «Le api hanno molti occhi» gridò sopra il ronzio dell’asciugacapelli di mamma «più o meno sei ciascuno». In un documentario alla tv, avevamo visto il primo piano di un’ape che, a quanto pare, era una “cruciale mutualista” perché impollinava frutti carichi di semi nelle regioni desertiche.



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